L'EPOPEA DI GILGAMESH


L’epopea di Gilgamesh è un antichissimo ciclo di poemi che ruota attorno alla figura del quinto re di Uruk, in Mesopotamia. La tradizione orale dei poemi, che precedono l’Iliade di circa un millennio e mezzo, risale al terzo millennio a.C. mentre l’elaborazione scritta più completa è quella voluta da Assurbanipal, ultimo re dell’impero degli Assiri, nel settimo secolo a.C..
Assurbanipal, infatti, aveva dato vita ad una notevole biblioteca in cui gli eruditi al suo servizio avevano raccolto volumi provenienti da Babilonia, Nippur e Uruk. Il ciclo andò perduto fino al XIX secolo e l’ultima e più esauriente redazione, ottenuta attraverso l’unione di più frammenti del corpus, si deve alle ricerche dello storico statunitense Samuel Kramer.
La vicenda presenta una notevole commistione di avventura e riflessione morale.  Gilgamesh, animato da una forte tensione alla conoscenza e dalla profonda coscienza della propria mortalità, può essere considerato a tutti gli effetti il primo eroe tragico della storia della letteratura. Nell’epopea figura inoltre il racconto di un grande diluvio che presenta svariate analogie con quello del diluvio universale nell’Antico Testamento.


La storia

Gilgamesh è il potente re di Uruk, la città-stato che dota di enormi mura di difesa e templi per onorare le divinità. Gilgamesh è un semi-dio e non riesce a trovare nessuno che gli sia pari, né in temperamento, né in battaglia, né in amore e questo gli provoca grande scontento. Inoltre il popolo è stanco del comportamento del suo re: i figli periscono dopo essere stati sfidati in battaglia e ogni giovane donna diventa amante del re. Così pregano Anu, dio di Uruk, di aiutarli e gli dèi decidono di creare un uomo Enkidu, che sia amico e nèmesi di Gilgamesh.
Enkidu cresce e vive con gli animali e la sua presenza spaventa i cacciatori che non riescono più a cacciare. Gilgamesh manda così una prostituta alla radura dove Enkidu si reca spesso. Enkidu, dopo essere stato sedotto, scopre di essere un uomo e viene ripudiato dagli animali. Si fa quindi condurre dalla prostituta a Uruk per incontrare Gilgamesh e sfidarlo a duello. L’arrivo di Enkidu è presagito da Gilgamesh attraverso dei sogni che racconta a sua madre, la dea Ninsun, che gli annuncia l’arrivo di un forte compagno.
La sfida viene vinta da Gilgamesh, ma con difficoltà e dopo una lunga battaglia. Gilgamesh riconosce la superiorità di Enkidu rispetto a tutti gli uomini che ha incontrato e Enkidu gli dice che il suo destino, il destino di Gilgamesh, è quello di essere un re mortale. E’ il destino che ha scelto per lui Enlil, padre degli dèi.
Gilgamesh e Enkidu decidono di partire per la foresta dei cedri, per abbattere i cedri ed innalzare un grande tempio che possa far ricordare per sempre il nome di Gilgamesh, anche oltre la morte. Per portare a termine la missione, devono prima combattere il male che abita quelle terre, rappresentato dal terribile gigante Humbaba.
Alla notizia della partenza i saggi temono molto per la vita del loro re, in quanto Humbaba ha armi che non possono essere sconfitte. La dea Ninsun chiede ad Enkidu di riportare Gilgamesh vivo e gli dona un amuleto. Ma non c’è pericolo per il re, infatti Shamash, dio del sole, veglia sulla missione di Gilgamesh e fa forgiare per lui armi invincibili.
Gilgamesh e Enkidu si mettono in cammino e arrivano alla foresta dei cedri, ai piedi della montagna dove risiede Ishtar, terribile e ambigua divinità dell’amore e della guerra.

 

 

Gilgamesh durante il tragitto fa molti sogni propizi, tutti interpretati da Enkidu, ma anche un sogno funesto. Dopo aver abbattuto un cedro, Gilgamesh cade preda di un sonno improvviso. Enkidu non riesce a ridestare il re, nonostante Humbaba si sia svegliato al suono del cedro spezzato. Gilgamesh infine si sveglia, indossa l’armatura e i due uomini avanzano per la foresta abbattendo i cedri, fino a confrontarsi con Humbaba e ucciderlo.
Gilgamesh riprende quindi il suo ruolo di sovrano e la dea Ishtar dinnanzi alla sua bellezza se ne innamora e decide di sposarlo. Ma Gilgamesh, consapevole di come la dea sia abituata a far soffrire e abbandonare i suoi amanti, la rifiuta.
Ishtar, furiosa, chiede allora a suo padre Anu di mandare il Toro celeste per creare distruzione e confusione tra il mondo dei viventi e quello dei morti. Il Toro scende sulla terra e provoca terremoti, morte e siccità. Gilgamesh interviene in aiuto del suo popolo, combatte il Toro e lo uccide.
Enkidu fa un sogno funesto: poiché è stato ucciso il Toro celeste e il gigante Humbaba, Gilgamesh o Enkidu dovranno morire. La sorte ricade su Enkidu che è preda di una lunga malattia. Gilgamesh veglia e piange l’amico, il cui destino è morire vilmente in un letto anziché con onore in battaglia. Alla sua morte Gilgamesh lancia forti lamenti e tributa all’amico grandi onori.
Spaventato all’idea della morte, Gilgamesh decide di cercare Utnapistim, un uomo che essendo scampato al diluvio ha ricevuto dagli dèi la vita eterna e vive nella terra di Dilmun nel giardino del sole. Gilgamesh arriva alla montagna che è stata posta a guardia del sole che sorge e che cala, protetta dagli uomini-scorpione. Si rivolge all’uomo-scorpione di guardia, gli spiega che sta cercando Utnapistim e viene fatto passare, nonostante agli uomini non sia normalmente concesso varcare quei cancelli. Gilgamesh attraversa la montagna, immerso in un’oscurità assoluta. Giunge infine al termine del percorso e arriva alla terra del sole.
Per raggiungere Utnapistim deve attraversare l’oceano e nessun uomo, fin dai tempi più antichi, è mai riuscito ad attraversare quel mare. Consapevole della sua impotenza, in preda alla rabbia Gilgamesh distrugge il sartiame del battello. Urshanabi, barcaiolo di Utnapistim, lo rimprovera per aver distrutto la sola cosa che poteva aiutarlo ad attraversare l’oceano ma poi lo aiuta a costruire un altro battello con gli alberi della foresta e lo conduce a Dilmun da Utnapistim. Gilgamesh racconta a Utnapistim di come un profondo dolore lo abbia sconvolto alla morte di Enkidu e gli chiede di svelargli il segreto della vita eterna.
Comincia così il racconto del diluvio.
Il diluvio è stato provocato dagli dèi poiché il mondo era sovrappopolato e gli strepiti degli uomini arrivavano fino ad essi. Gli dèi avvertono Utnapistim di distruggere la sua casa e costruire una nave. Utnapistim progetta una enorme imbarcazione dove far salire uomini e animali. All’arrivo del diluvio la pioggia imperversa per sei giorni e sei notti e all’arrivo del sereno la terra è completamente ricoperta dalle acque. La nave si incaglia sulla cima di una montagna dove resta altri sei giorni. Al settimo giorno Utnapistim lascia libera una colomba, ma non trovando dove riposarsi l’uccello torna indietro. Lo stesso avviene con una rondine. Solo quando lascia libero un corvo questi non ritorna. Utnapistim capisce così che le acque si sono ritirate e tributa grandi offerte agli dèi che concedono a lui e a sua moglie di vivere in eterno.
Al termine del racconto Utnapistim confida a Gilgamesh che per ottenere la vita eterna dovrà restare sveglio sei giorni e sei notti. Ma una forte nebbia cala sugli occhi del re che non riesce a resistere e si addormenta. Dorme per sei giorni e sei notti e al risveglio si dispera dopo aver riconosciuto la propria debolezza.
Al momento della partenza Utnapistim gli rivela un ulteriore segreto: se coglierà dal fondo del mare una pianta divina e se ne nutrirà potrà riottenere la giovinezza perduta.
Gilgamesh durante il viaggio di ritorno riesce a impossessarsene e vuole portarla a Uruk per darla da mangiare a ogni uomo e poi nutrirsene lui stesso. Si ferma però a nuotare in uno stagno e un serpente, sentendo il dolce odore del fiore, mentre Gilgamesh è distratto, lo mangia. Il re è quindi costretto a riconoscere il potere del destino e la sua essenza mortale.
Gilgamesh torna a Uruk, dove conclude la sua vita di uomo e muore, ma verrà ricordato come il più potente sovrano che Uruk abbia conosciuto.
 


Gilgamesh e Enkidu uccidono Humbaba,
guardiano della foresta dei cedri
 


Gilgamesh e Enkidu uccidono il Toro celeste