Questioni sul
riscaldamento degli edifici compendiate in una pagina.
Per
affrontare lo studio sulla trasmissione del calore occorrono difficili teorie
includenti l’interazione tra elettroni e fotoni, come l’elettrodinamica
quantistica che opera in campo complesso. Normalmente si ricorre a modelli
matematici più semplici dove si definiscono, in scale appropriate, grandezze
come temperatura, umidità, velocità dell’aria, coefficienti di trasmissione del
calore, esposizione solare, risposta termica dei manufatti, ecc. Negli impianti
industriali si gestisce la trasmissione del calore approssimando una equazione
differenziale a derivate parziali di secondo ordine. Si misura la variabile,
es. temperatura, e si interviene con un sistema di controllo sul processo:
quello comunemente utilizzato risponde ad un’equazione non lineare
(proporzionale, integrale e derivativa). Quello usato nella maggior parte degli
impianti di riscaldamento, impone una corrispondenza biunivoca, con qualche
aggiustamento, tra temperatura esterna e temperatura del fluido riscaldante,
tipicamente acqua, tramite una famiglia di curve predefinita. Conoscendo
costruttore e modello, le caratteristiche sono normalmente reperibili sul web.
E’ possibile regolare anche l’umidità, specie nella climatizzazione estiva, ma
è relativamente costoso sia nella gestione, sia nell’adeguamento dell’edificio.
Usualmente non si misura il vento, che favorisce la dispersione del calore
d’inverno, l’insolazione (sereno/nuvoloso, cambia l’escursione termica
giornaliera quindi l’accumulo di calore nel fabbricato), né il regolatore tiene
conto delle previsioni del tempo, solo l’ora quando impostata.
Le
oscillazioni della temperatura interna dipendono dal ritardo nel sistema di
regolazione (sfasamento). Il calore inizia il suo cammino con la variazione
della posizione della valvola miscelatrice a seguito di uno scostamento dalla
temperatura prefissata del fluido in funzione della temperatura esterna, scorre
nelle tubazioni sino ai radiatori, normalmente termosifoni, e ceduto
all’ambiente prevalentemente per convezione, cioè attraverso l’aria che
lambisce il termosifone. Se pannelli radianti a pavimento o soffitto, c’è
ulteriore cessione di calore alle solette e da queste all’ambiente
prevalentemente per irraggiamento, cioè quarta potenza della temperatura
assoluta più un coefficiente di aggiustamento che riassume quel che non si sa
sul fenomeno. In entrambi i casi il calore, o il freddo quando l’impianto
funziona al contrario, viene poi percepito dalle persone. L’intervallo di tempo
non è modificabile e dovrebbe essere il minore possibile per consentire una
pronta risposta dell’impianto alle variazioni climatiche. I normali edifici non
hanno temperatura uniforme, con termosifoni si corregge variandone la potenza,
in caso di pannelli è difficile se non impossibile. Occorre anche tener conto
della sensibilità individuale, dipendente da età, costituzione, condizioni di
salute, ecc. Si può stimare che ogni persona a riposo contribuisca a scaldare
l’ambiente come una stufa da un’ottantina di Watt (da 60 a 110W).
Interviene
anche la bontà degli strumenti di misura e regolazione: sensibilità (minimo
segnale che provochi la risposta), ripetibilità (distribuzione delle risposte
ad un stesso segnale), precisione o incertezza (convergenza della distribuzione
delle risposte rispetto ai valori “veri”). Non tutti gli strumenti sono idonei,
soprattutto nei pannelli, dove il comfort si gioca su un paio di gradi acqua.
Il fuochista
dovrebbe trovare la miglior risposta del regolatore riguardo le condizioni
dell’intero edificio, senza inseguire le variazioni climatiche (per quelle si
istruisce un buon regolatore nei limiti delle tecnologie disponibili), ma
impostare tra le diverse risposte quella più gradita alla maggioranza dell’utenza
avuto riguardo per il contenimento energetico. Le norme tecniche (es. ASHRAE)
che definiscono una sorta di trapezio nel campo delle temperature accettabili
secondo umidità, T°, vestiti, attività, hanno scarso seguito nell’utenza. Per
monitorare la risposta ad ogni intervento di regolazione occorre attendere
due-tre giorni, tenendo però conto che la temperatura esterna nel frattempo
varia. Normalmente ci si accontenta di valori concordati della grandezze (tempo
morto e costante di tempo convenzionali) e si procede per tentativi sino alla
definizione di una taratura che non va più cambiata, solo monitorata. Le
variazioni esterne sono quella giornaliera (approssimata ad una sinusoide) e
una stagionale (due massimi ad inizio e fine stagione, un minimo verso
gennaio). In altro modo, ogni giorno si utilizza il calore degli ultimi due-tre
giorni, scalato esponenzialmente secondo la distanza temporale, e si prepara
quello dei prossimi giorni. Ad inizio stagione la T° esterna tende a calare,
quindi nel procedere della stagione si percepisce un difetto di calore,
viceversa nel fine stagione le T° esterne aumentano e si percepisce un eccesso,
salvo sbalzi repentini da mitigare con funzioni correttive quando presenti. Il
grafico qui sotto dà un’idea di cosa accada tra dispersione dall’involucro
(curva blu tratteggiata) e riscaldamento (curva verde tratto e punto) con
temperatura esterna media costante sui 6°C. Naturalmente i 20° sono nominali e
lo sfasamento (qui stimato) è correlato con le caratteristiche costruttive
dell’edificio, due onde uguali in fase raddoppiano la risposta, in opposizione
di 180° (o π radianti) la azzerano. Non vedo soluzione diversa
dalla regolazione e contabilizzazione individuale del calore perché consente a
ciascun utente di risparmiare proporzionalmente all’isolamento termico
realizzato nel perimetro del proprio alloggio riducendo propria quota
volontaria. La quota involontaria calcolata secondo le norme tecniche per non
pagare gli sprechi altrui.
Giovanni
Verzotti. (12 aprile 2021).